COMUNICATO del CIRCOLO di CULTURA POLITICA “G. E. MODIGLIANI”
del Governo Monti
Nella storia del Parlamento italiano la carica di primo ministro è stata affidata a personalità non espresse dai partiti in circostanze emergenziali. Il primo fu Facta: nominato nel 1922 in un periodo di seri conflitti sociali sfociò nel fascismo con l’avallo del re. Il secondo fu Badoglio: nominato dopo la caduta di Mussolini, fece da spettatore all’occupazione dell’Italia dei Tedeschi e ai cruenti scontri con gli Alleati che coinvolsero, oltre alle opposte fazioni italiane, le popolazioni. Il terzo, Tambroni, fu nominato da Gronchi per forzare la DC all’intesa con i missini ma si dimise subito dopo gli scontri di Genova da cui vennero le convergenze parallele di Moro. La crisi della Prima Repubblica portò ai primi ministri tecnici, Ciampi e Dini; solo Ciampi, governatore della Banca d’Italia, era tecnico puro; Dini, direttore della Banca d’Italia, era stato ministro del primo governo Berlusconi.
Il governo Monti parrebbe inserirsi in questa logica: per risolvere i problemi della debolezza della moneta (ieri la lira, oggi l’euro) e dall’enormità del debito pubblico italiano (oggi 120% del PIL) occorre un “tecnico” che se ne intende! La nomina del Monti in parte rientra nello schema e in parte è dovuta al fatto che la grande maggioranza dei gruppi parlamentari, non essendo in grado di varare un programma immediato, ha preferito dar la fiducia a Monti piuttosto che costringere Napolitano a sciogliere le camere. Così è possibile che il governo Monti duri fino al 2013.
C’è un’altra differenza: mentre i precedenti governi tecnici erano giustificati dai problemi sociali interni al paese, pur connessi ad eventi internazionali epocali (reinserimento dei reduci della prima guerra mondiale; salvezza dell'onore nazionale perduto con l'avventura nazifascista; crescita economica in un mondo diviso dalla guerra fredda; apertura del vaso di Pandora di tangentopoli con la fine dei partiti storici), la nomina di Monti segue una congiuntura economica mondiale che ha colto in Italia partiti da anni incapaci di costruire progetti reali di governo e una società sonnacchiosa, appagata da un benessere fittizio che sotto la superficie di garanzie consolidate (pensioni, assistenza sanitaria, ecc.) cova drammatiche contraddizioni (difficile inserimento dei giovani al lavoro; lavoro al nero e forme di vita incivili degli immigrati; ecc.) e saziata politicamente dall’illusoria partecipazione proposta da estenuanti dibattiti televisivi. Di fronte ad un debito pubblico formatosi in Italia in 35 anni (dal 5° governo Andreotti del 1976 al 4° governo Berlusconi del 2008) e mantenutosi negli ultimi 15 anni al 110-120% del PIL, si è voluta una soluzione tecnica che tale non è, perché la manovra del governo Monti sarà approvata dal Parlamento e sarà quindi “politica”.
La vera novità è l’immagine di un compromesso più storico di quello Moro-Berlinguer, all’insegna della “salvezza dell’Italia”, però privo di un qualsiasi disegno politico. Vi è poi un’area facente capo all’UDC con propaggini neppur troppo nascoste nel PDL e nel PD, in genere ex democristiane che appaiono voler sfruttare gli eventi con una mira politica precisa: l’abolizione del sistema bipolare. Peccato che la via scelta per perseguirlo appaia troppo onerosa per la democrazia italiana: ammesso e non concesso che il bipolarismo sia il male della politica italiana, il ritiro dei partiti politici dalle loro responsabilità per le scelte pesanti imposte ai cittadini è una cura che può uccidere definitivamente la politica malata, unendo al default dei titoli di stato il default della politica. Sembra di assistere al film “Tutti a casa!”, che descrive lo smarrimento dei soldati italiani dopo l’8 settembre 1943: di fronte all'incapacità decisionale dei partiti, molti parlamentari brancolano alla ricerca di nuove collocazioni che stentano a delinearsi.
Di fronte allo scenario descritto il Circolo di Cultura Politica “G. E. Modigliani” vuol porre all’attenzione della società il bisogno di tornare a fare politica sul serio: non solo nel chiuso dei partiti ma coinvolgendo la società tutta, uomini e donne, giovani e anziani, circoli e club, sindacati e associazioni: tornare a fare politica a tutti i livelli significa però non restare alle contrapposizioni delle fazioni, comporta capire prima di tutto quale sia la realtà della società contemporanea e confliggere sulle diverse proposte operative di intervento, non sul potere fine a sé stesso. Se da un lato sarebbe necessaria una “grande riforma” dell’impianto istituzionale italiano, ispirata alle grandi correnti del pensiero politico moderno, il liberalismo e il socialismo, dall’altro si pone il problema di come applicare questi principi in un singolo paese in un mondo globalizzato. Infatti bisogna prima capire come si sia potuta creare una “società del debito”, che a sua volta ha dato spazio a un “capitalismo del debito” che ha finanziatore il debito “privato” e “sovrano” e poi si è trasformato in un “capitalismo speculativo” spietato, che non guarda in faccia a nessuno e non si preoccupa di minare la sovranità dei paesi mandando all’aria i principi liberali e solidaristici ai quali essi si ispirano. Nel mondo occidentale, dove la popolazione attiva è impiegata per oltre due terzi nei servizi, sono aumentati i “diritti”, legati al consumo di beni e servizi privati e pubblici, a discapito dei “doveri” legati alla produzione di beni e servizi. In passato la retorica dei “doveri” prevaleva su quella dei “diritti” perché i processi produttivi di beni materiali, dove i doveri erano normati dalla tecnologia, erano la base dei consumi, quindi dei diritti; la stessa priorità dei doveri sui diritti non è avvertita più in società dove i processi di consumo prevalgono e talora debordano rispetto alle potenzialità produttive proprie e dei paesi partner: la divaricazione fra doveri e diritti, che devono essere assicurati a tutti secondo i principi di uguaglianza, hanno creato debiti privati o pubblici, e nei paesi anglosassoni privati e pubblici, attirando la speculazione sui cosiddetti titoli “tossici” (Lehman Brothers e Bear Stearns sono fallite e la Federal Reserve ha speso più di 2.000 miliardi di dollari per salvare Goldman Sachs, AIG, Fanny Mae e Freddie Mac).
La manovra del governo Monti si inserisce in questo scenario, ma da economisti di vaglia ci si poteva aspettare qualcosa di più incisivo ed equo rispetto a misure che non fanno sfigurare la vecchia politica. Speriamo che i tecnici partoriscano qualcosa di meglio per la ripresa dello sviluppo del paese, oltre a ripristinare regole corrette di mercato: ma più di questo gli economisti non possono fare. Lo sviluppo non lo fanno gli economisti (è già tanto se riescono a interpretarlo) perché lo sviluppo nasce nella società, tra la gente che si impegna nello studio, nel lavoro e nella politica. L’economia e la politica o vivono insieme nella società o sono altrimenti teatro, routine, gioco di potere e affari. Compito delle istituzioni e dei gruppi politici è adeguare regole e strutture pubbliche perché consentano ai cittadini che convivono la possibilità di vivere con dignità e di esprimersi con la massima libertà all’epoca possibile in un’ottica globalizzata.
La soluzione dello sviluppo non sta nei presunti “miracoli” di tecnici improvvisatisi politici ma nella voglia di progresso dei cittadini e nel loro rispetto delle regole: nella volontà di riprendere in mano il loro destino e quello della loro comunità. A uno scatto di orgoglio e insieme di umiltà sono chiamati soprattutto i giovani, che non devono aspettarsi tutto dall’alto né mettersi da parte se disillusi o disgustati dalla politica “politicante”: non è umiliante l’impegno nel lavoro, qualsiasi esso sia, e nella politica, in qualsiasi modo si possa prendervi parte; sono umilianti la dipendenza dagli altri, la mancanza di lavoro e il disimpegno politico.
Il futuro sarà comunque dei giovani e a loro spetta prepararlo, come hanno fatto tutte le generazioni che li hanno preceduti. Su questi temi il Circolo Modigliani promuoverà dibattiti in ogni forma possibile, con la sola ambizione di dare un contributo alla ripresa della coscienza civile del nostro paese.
Livorno, 20 Dicembre 2011